Skip to content
Città Sospese. L’arte di Mikoriza riaccende il centro città

Fino al 31 gennaio la mostra diffusa di arte contemporanea in 13 vetrine vuote di Belluno

Gli sguardi e i linguaggi di sei artisti contemporanei animano il centro di Belluno per la prima edizione di ‘Città Sospese’, un progetto di riqualificazione urbana che utilizza le vetrine sfitte dei negozi cercando di ridare senso e vita a spazi vuoti.

Al cuore di Città Sospese c’è Mikoriza, piattaforma digitale dedicata agli artisti contemporanei, nata per creare progetti che rendano l’arte più accessibile, costruendo ponti tra artisti, città e imprese. Non è un caso se l’iniziativa mette in connessione sei artisti con esperienze, competenze e sensibilità differenti con il Comune di Belluno, Confcommercio provinciale e tre imprese che hanno voluto sostenerla: CortinaBanca, Clivet e Unifarco sono gli sponsor della mostra che rimarrà disponibile fino al 31 gennaio.

Fondatrice è Ilaria D’Alessio, pronta a proporre un ‘Museo a serrande abbassate’ perché, scrive in  un post su LinkedIn: «Le vetrine vuote, anche nelle piazze e nelle vie più belle delle nostre città, sono come una ferita esposta, per chi ha memoria e nostalgia di vitalità passate, ma anche per chi giovanissimo non ne ha, ma si trova a confrontarsi col vuoto».

Città Sospese vuole trasformare quella ferita in un luogo di racconto, senza fingere che il problema non esista, ma rendendolo visibile in modo creativo e condiviso. Il nome stesso “Mikoriza” evoca la rete sotterranea di relazioni tra radici e funghi: una metafora efficace per un progetto che lavora sulle connessioni – tra persone, spazi urbani e immaginari. 

«Città Sospese è la nostra risposta», scrive ancora d’Alessio, «il nostro contributo appassionato, seppur temporaneo ad un tema che certo – siamo coscienti- non saremo noi a risolvere. Ma è una piccola spora che lasciamo cadere a terra, con l’augurio che possa moltiplicarsi e innestare nuovi processi, che forse ora non si vedono, ma non per questo sono meno possibili».

I protagonisti di Città Sospese sono sei artisti contemporanei, diversi per formazione e percorso, accomunati dalla scelta di lavorare sulla figura umana come specchio delle città che cambiano.  Un gruppo eterogeneo, che intreccia, illustrazione, fotografia, disegno e pittura, performance e pratiche più relazionali: Alessandra Condello, Carlo Andreassi, DEM, Lavina Fagiuoli, Raul Barattin e Francesco Comello sono gli autori delle 40 opere che camminando si possono ammirare in una delle 13 vetrine di negozi sfitti convertite in luoghi d’arte. Teche più che semplici fondali, dispositivi narrativi in dialogo con la strada, con chi passa, con la quotidianità della città. È un progetto di arte site-specific, costruito su misura degli spazi e del contesto urbano, in linea con quelle pratiche contemporanee che portano l’arte fuori dai musei per farla vivere nei luoghi reali. 

I 13 luoghi della mostra diffusa nel centro storico di Belluno

‘Essere Umani’ è il tema scelto per questa edizione e il filo rosso che unisce tutte le opere. Un invito alla riflessione su un tempo in cui ci sentiamo sempre più sospesi, senza radici, alla ricerca di nuovi modi di stare insieme e di riconoscerci nell’altro. 

Gli sguardi illustrati

Illustrazione e disegno portano in vetrina corpi, figure, scene che sfiorano il sogno. Le immagini, spesso sintetiche e immediate, parlano di relazioni, fragilità, metamorfosi. Nelle vetrine dove un tempo si esponevano abiti o oggetti, ora ‘sfilano’ personaggi che interrogano chi guarda: chi sono? in che città vivono? cosa li tiene sospesi?

La fotografia come specchio della città

La fotografia usa le vetrine come un doppio gioco di riflessi: dentro le immagini, fuori il passaggio delle persone, dietro l’architettura della città reale. Ne nascono opere che spesso mettono a fuoco assenze, attese, tracce di vita quotidiana, restituendo al centro di Belluno la sua densità umana, proprio nel punto in cui il commercio si è fermato.

Pittura e segni pittorici

Gli interventi più pittorici trasformano il vetro in una superficie quasi murale: campiture di colore, segni, figure che emergono o si dissolvono. Qui il tema dell’“essere umani” passa anche attraverso la materia: corpi che sembrano affiorare, volti che si accennano e poi scompaiono, come se il tessuto sociale della città si stesse lentamente ridisegnando.

Gestualità, performance, presenza

Alcuni lavori sconfinano nella performance o nell’azione nel tempo: opere che cambiano con la luce, con il passaggio delle persone, o che prevedono gesti, scritture, interazioni. In questo modo le vetrine non sono solo ‘quadri da guardare’, ma diventano luoghi di relazione, dove l’arte misura la temperatura emotiva del centro storico.

Una alleanza tra artisti, imprese e città

Città Sospese non è solo un progetto artistico: è anche un esperimento di alleanza territoriale. A credere nel progetto sono state innanzitutto alcune imprese del territorio – CortinaBanca, Clivet, Unifarco – che hanno scelto di sostenere economicamente e simbolicamente l’iniziativa, interpretando la cultura come una forma di cura verso i luoghi in cui vivono e lavorano.

Fondamentale anche il ruolo di Confcommercio Belluno Dolomiti, che ha lavorato per convincere i proprietari a mettere a disposizione le vetrine oggi sfitte. L’idea è chiara: se il centro torna ad essere bello, vivo e narrato, può nascere il desiderio – in chi passeggia – di tornare a investire, aprire, rischiare. 

In questo senso Città Sospese è un progetto dichiaratamente temporaneo, ma che ambisce a lasciare una traccia duratura: un cambio di sguardo, un racconto nuovo sulla città, forse anche qualche occasione in più per immaginare il ritorno di attività e funzioni.

Vetrine che si riaccendono: un gesto poetico e politico

‘Città Sospese’, nelle parole di chi lo ha pensato e sostenuto, non promette soluzioni immediate alla desertificazione commerciale. Ma ha l’ambizione di seminare possibilità: riportare luce dove prima c’era buio, restituire dignità agli spazi chiusi, offrire ai cittadini un’occasione per camminare in centro e sentirsi – di nuovo – parte di una comunità.

In questo dialogo continuo tra interno ed esterno, tra opera e passante, tra vuoto e immaginazione, Belluno sperimenta un modo nuovo di raccontarsi a se stessa. E Mikoriza – o “Miko Riza”, come molti la chiamano – si propone come laboratorio in cui l’arte non è ornamento,  non è un superfluo ‘in più’, ma strumento necessario per riattivare relazioni, sguardi e desiderio di futuro.