Luca Pagni su VeneziePost fa il punto al termine della conferenza Onu sul clima.
Sarebbe facile ricordare il titolo di una delle più brillanti commedie di William Shakespeare, per sintetizzare quanto accaduto nelle due settimane della Cop30 organizzata dal Brasile a Belém, alle porte della foresta amazzonica: «Much ado for nothing», molto rumore per nulla, scrive Pagni.
(…) dopo un anno di lavori preparatori, (…) la conferenza dell’Onu per il clima si è chiusa senza passi avanti. Nel testo finale («l’unico punto di caduta possibile», come ha commentato il ministro dell’Ambiente italiano, Gilberto Pichetto) compaiono solo impegni «solenni», ma senza scadenze precise.
Se da un lato nessun paese osa ormai contestare l’evidenza scientifica dell’aumento delle temperature e le relative conseguenze per il pianeta, altro discorso è prendere impegni chiari con scadenze precise.
Scrive ancora Pagni:
A chiedere date precise per l’uscita dai fossili e gli impegni contro la deforestazione sono stati ottanta Paesi guidati dai membri dell’Unione europea (quasi all’unanimità), a cui si aggiungono Australia, Canada, Giamaica, Kenya, Cambogia. Non solo: il fronte è composto da numerosi Stati insulari, i quali temono di essere tra i primi a subire i danni di un prossimo innalzamento dei livelli del mare. Tra i Paesi Ue che non hanno sottoscritto la richiesta c’è l’Italia, assieme a Polonia e Ungheria.
Il fronte di chi si oppone alla «road map» è più o meno equivalente con un’altra ottantina di Paesi. È guidato da Arabia Saudita e Russia, allineati con Qatar, Kuwait, Iraq, Emirati Arabi Uniti, Iran, ma anche Bolivia e Venezuela. Vengono definiti «petrostati» perché basano le loro entrate soprattutto sui combustibili fossili e ovviamente non sono così desiderosi di mettere fine a un’industria su cui si basa la stragrande maggioranza delle entrate pubbliche.
Infine, ci sono i «non allineati», spiega l’articolo (…). Tra questi occorre inserire gli Stati Uniti, che non hanno partecipato alla Cop30 e, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, sono usciti dagli accordi di Parigi. Ma c’è anche la Cina, che ha tutta la convenienza a non prendere impegni in quanto Paese con le maggiori emissioni di gas serra e primo consumatore di carbone assieme all’India e agli Usa. Allo stesso tempo, però, domina le tecnologie green, dai pannelli solari alle auto elettriche.