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Dallo spopolamento alla resilienza: il ruolo del Bellunese nella nuova geografia delle Alpi

Le Alpi stanno diventando un laboratorio di resilienza economica e sociale. L’immigrazione straniera e quella proveniente dalla pianura e dalle aree urbane contribuiscono a rivitalizzare territori che altrimenti avrebbero continuato a perdere popolazione. Nuovi residenti portano competenze, imprenditorialità diffusa, domanda di servizi e innovazione sociale, innestandosi su tessuti locali che per anni hanno convissuto con l’idea di un declino inevitabile. È in questa chiave che va letto il nuovo scenario demografico alpino: non più solo montagne che si svuotano, ma territori attraversati da flussi, scelte residenziali più mobili e stili di vita più flessibili, in cui anche lo smart working e il lavoro ibrido giocano un ruolo crescente.

Il quadro generale emerge con chiarezza dal report ‘Demographic scenarios, residential mobility and impacts of climate change in the Alps’, curato da ISTAT, Università di Torino e Accademia delle Scienze austriaca, che analizza l’evoluzione demografica dell’arco alpino nel periodo 2014-2023. Nel complesso, i comuni alpini italiani registrano una lieve contrazione di popolazione, dell’ordine di poco più dell’1% in dieci anni: un calo contenuto, ma accompagnato da una trasformazione molto più marcata nella struttura per età. Gli over 65 superano ormai un quarto dei residenti e l’indice di vecchiaia – il rapporto fra anziani e under 15 – cresce in modo deciso, segnando l’indebolimento della base demografica. La natalità scende, il saldo naturale diventa stabilmente negativo, mentre si rafforza il ruolo dei flussi migratori: i trasferimenti di residenza compensano una parte importante delle perdite per cause demografiche, con oltre il 70% dei comuni che nel 2023 registra un saldo positivo nei confronti del resto del Paese e circa l’84% che è in attivo nei rapporti con l’estero. Gli stranieri pesano in media per poco meno del 10% della popolazione, contribuendo in misura significativa alla tenuta delle coorti in età lavorativa.

La nuova geografia dell’attrattività alpina

Accanto alla dimensione quantitativa, il rapporto mette in luce anche una geografia della nuova attrattività alpina. A recuperare popolazione sono soprattutto i piccoli centri ben collegati, i fondovalle serviti da infrastrutture stradali e ferroviarie, le aree periurbane che fungono da cerniera fra città di pianura e territori montani. Qui si affermano forme di residenza metromontana: persone che mantengono relazioni di lavoro e di studio con i poli urbani, ma scelgono di vivere in quota o in fondovalle, sfruttando il digitale e la maggiore flessibilità organizzativa delle imprese. In questo scenario, le Alpi non sono più solo uno spazio di villeggiatura o un retroterra marginale, bensì un territorio in cui si sperimentano modelli di sviluppo basati su qualità della vita, innovazione sociale e transizione ecologica.

Dentro questo quadro di lungo periodo, la Provincia di Belluno si presenta come un caso emblematico e, in molti aspetti, strategico. È l’unica provincia interamente montana del Veneto, con una forte specializzazione turistica e una morfologia complessa che alterna fondovalle industriali, vallate laterali e aree dolomitiche di primissimo piano a livello internazionale. Qui le tendenze generali delle Alpi italiane appaiono spesso amplificate: il saldo naturale è strutturalmente negativo, l’invecchiamento della popolazione è più accentuato della media regionale e la perdita di abitanti negli ultimi dieci anni è stata sensibile in numerosi comuni di alta quota. Allo stesso tempo, i centri di fondovalle meglio collegati alla pianura – l’area urbana di Belluno, il Feltrino, alcune porzioni del Cadore – mostrano una maggiore capacità di resistenza, grazie all’intreccio fra manifattura, servizi, turismo e pendolarismo verso le città venete.

Dallo spopolamento lineare alla redistribuzione selettiva

La dinamica migratoria mostra come anche il Bellunese stia vivendo il passaggio dalla stagione dello spopolamento lineare a quella di una redistribuzione selettiva. L’arrivo di nuovi residenti, sia dall’estero sia da altre regioni italiane, contribuisce a sostenere comparti produttivi che altrimenti faticherebbero a reperire manodopera, in particolare nel turismo, nella ristorazione, nell’assistenza alla persona e in alcuni segmenti dell’industria. Nei comuni più attrattivi si osserva inoltre il fenomeno, ancora in parte carsico ma in crescita, di famiglie che scelgono di trasferirsi stabilmente in provincia mantenendo rapporti di lavoro con il resto del Veneto e con le grandi aree metropolitane del Nord. È qui che la residenza metromontana trova un terreno favorevole: un patrimonio abitativo diffuso, la presenza di seconde case trasformabili in prime, una qualità ambientale difficile da replicare in pianura, una distanza ancora gestibile dai centri direzionali regionali.

Queste tendenze aprono un ventaglio di opportunità che vanno ben oltre il solo turismo. La prima è demografica: ricostruire una base di popolazione in età attiva che permetta di mantenere aperte scuole, servizi sanitari di prossimità, attività commerciali di vicinato, evitando la spirale del declino tipica delle aree interne più fragili. La seconda è economica: agganciare i nuovi residenti, italiani e stranieri, a percorsi di inserimento e crescita che non si limitino ai lavori stagionali o poco qualificati, ma coinvolgano anche i settori a maggiore valore aggiunto, dall’industria esportatrice di valle alle filiere del legno, dell’energia rinnovabile, dell’edilizia sostenibile e della trasformazione digitale delle imprese. La terza è sociale: utilizzare la diversità di provenienze, competenze e reti relazionali come leva per innescare innovazione nei servizi, nelle forme d’impresa, nei progetti culturali e comunitari, superando l’idea della montagna come spazio chiuso e autoreferenziale.

Lo snodo tra Dolomiti e pianura veneta

Il Bellunese, per la sua posizione al crocevia tra Dolomiti e pianura veneta e per la tradizione industriale radicata lungo le principali valli, è in condizioni di intercettare con particolare efficacia questi processi. La combinazione di distretti manifatturieri, turismo internazionale, filiere agroforestali e nuova residenzialità permette di immaginare un modello di sviluppo montano meno dipendente dalla monocultura dello sci e più orientato alla diversificazione. Le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 rappresentano, in questo senso, una finestra temporale preziosa ma limitata: l’orizzonte strategico non può ridursi all’evento, deve puntare a trasformare gli investimenti in infrastrutture e visibilità in un rafforzamento strutturale della capacità di attrarre persone, imprese e capitale umano.

La necessità di aggiornare le politiche pubbliche

Perché questo potenziale non resti sulla carta, le politiche pubbliche devono compiere un salto di qualità e di scala. Il primo terreno è quello delle infrastrutture, materiali e immateriali: alla buona dotazione stradale va affiancato un deciso potenziamento del trasporto pubblico, soprattutto ferroviario e su gomma integrata, per ridurre l’isolamento funzionale dei centri bellunesi e rendere credibile, anche sul piano quotidiano, la scelta di vivere in montagna lavorando per aziende di pianura o nazionali. Sul fronte digitale, la copertura a banda ultra-larga deve diventare uno standard in tutta la provincia, incluse le valli laterali, perché senza connessioni stabili e veloci lo smart working resta un’opzione di nicchia.

Un secondo pilastro riguarda le politiche dell’abitare e dei servizi. Rigenerare i centri storici, favorire la ristrutturazione del patrimonio esistente, introdurre incentivi mirati per chi trasferisce la residenza stabile nei comuni più esposti allo spopolamento sono scelte che possono incidere tanto quanto i grandi progetti infrastrutturali. Allo stesso tempo, occorre governare gli effetti del turismo sul mercato immobiliare, contenendo gli squilibri generati dagli affitti brevi e dal peso delle seconde case non utilizzate. Sul versante dei servizi, la tenuta di scuole, sanità territoriale, nidi, trasporti scolastici e servizi di cura per anziani è la condizione minima per convincere le famiglie – locali e nuove arrivate – a investire il proprio progetto di vita in montagna.

Infine, l’adattamento ai cambiamenti climatici deve essere integrato nell’agenda di sviluppo, non relegato alla sola gestione dell’emergenza. La maggiore frequenza di eventi estremi, il rischio idrogeologico, la fragilità di alcune infrastrutture impongono una pianificazione attenta dell’uso del suolo, investimenti costanti nella manutenzione del territorio e nella prevenzione, un ripensamento dei modelli turistici in chiave quattro stagioni e a minore intensità energetica. In questo processo il capitale sociale del Bellunese – il tessuto di associazioni, volontariato, protezione civile, cooperative di comunità – può diventare un fattore competitivo tanto quanto una nuova strada o una nuova linea ferroviaria. Se riuscirà a connettere queste dimensioni, la provincia potrà davvero incarnare l’idea di Alpi come laboratorio di resilienza economica e sociale, trasformando la fragilità demografica e ambientale in una piattaforma di innovazione territoriale di lungo periodo.