In un’epoca in cui il benessere dei lavoratori e la possibilità di conciliare vita professionale e privata sono sempre più centrali per la competitività delle imprese e l’attrattività dei territori, emerge con forza la necessità di un approccio inter-organizzativo che unisca le forze tra imprese, enti pubblici e privati per creare una rete territoriale di servizi e pratiche condivise. È quanto emerge dalla ricerca ‘Modelli organizzativi per un approccio human-centered’, realizzata dall’Università di Padova all’interno del progetto Disruption finanziato dalla Regione Veneto e che ha visto la società Metàlogos come capofila.
La ricerca è stata condotta a Belluno e si inserisce nell’ambito delle azioni avviate per superare le tradizionali criticità demografiche e strutturali che ne hanno limitato l’attrattività e la capacità di trattenere talenti.
I fabbisogni del territorio
I risultati dell’indagine illuminano un quadro complesso ma dinamico. Nonostante un crescente interesse delle aziende bellunesi verso modelli organizzativi che mettano al centro la persona, la ricerca ha rilevato una carenza strutturale di servizi di cura per la famiglia, come asili nido e assistenza agli anziani, una problematica che si acuisce in un territorio montano con difficoltà logistiche e un servizio di trasporto pubblico insufficiente. A ciò si aggiunge una scarsità di alloggi disponibili per chi desidera trasferirsi e una minore dinamicità sociale e culturale percepita dai più giovani, tutti fattori che contribuiscono allo spopolamento e rendono difficile attrarre nuove risorse.
Eppure, le imprese non restano inerti. L’indagine ha evidenziato un fermento significativo: le aziende stanno implementando una varietà di pratiche di gestione delle risorse umane per migliorare la loro attrattività e la capacità di trattenere i propri collaboratori. Tra queste, spiccano le iniziative di flessibilità tra cui orari adattabili, smart working, part-time e persino la sperimentazione della settimana corta, il supporto alle famiglie con figli con congedi parentali, convenzioni per asili aziendali o locali; o, ancora, programmi di welfare aziendale che vanno dal sostegno economico a servizi per il benessere fisico e mentale, consulenze fiscali e amministrative interne e infine una crescente attenzione alle politiche di diversità e inclusione per promuovere la parità di genere, la valorizzazione delle diverse nazionalità e il dialogo intergenerazionale.

Tuttavia, perseguire questi obiettivi o implementare programmi di welfare è particolarmente complicato per le singole imprese. Alle limitazioni geografiche del territorio montano, si aggiungono le ridotte capacità di investimento per le aziende di piccole e medie dimensioni. Non sorprende dunque che su un campione di 37 piccole imprese locali interpellate sia molto marcato l’interesse alla creazione di reti territoriali che coinvolgano altre imprese o partnership pubblico-private.
‘Mettendo a confronto le indicazioni delle imprese con quelle emerse dalle interviste con gli stakeholders locali’, si legge nel rapporto, ‘si può definire un insieme di fabbisogni comuni che trovano specifiche risposte nelle politiche sulle risorse umane sviluppate dalle imprese che risulterebbero più efficienti se sviluppate in una logica di sistema. Si tratta, infatti, di fabbisogni che se soddisfatti possono accrescere l’attrattività delle imprese e del territorio nel suo complesso e di pratiche e strumenti che se portate a sistema coinvolgono una rete di imprese, di istituzioni e di servizi che possono trarne reciproco beneficio’.
Inoltre, il 75,5% di queste piccole imprese considera le pratiche collaborative di gestione delle risorse umane utili per il reclutamento e la riduzione del turnover, mentre l’83,8% le ritiene fondamentali per facilitare la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Per quanto riguarda il supporto desiderato dalle associazioni di categoria, il 43,2% delle imprese chiede formazione, il 24,3% alloggi per i lavoratori e il 18,9% accordi per nuove linee di trasporto. Oltre ai bisogni concreti c’è la percezione diffusa che le soluzioni debbano traguardare la singola azienda ed essere adottate secondo una logica di sistema. La necessità di attrarre e fidelizzare le nuove generazioni, che cercano ambienti lavorativi ‘sani’ e supportivi per coltivare passioni e bilanciare vita privata e professionale, rende queste iniziative non solo desiderabili ma indispensabili.

Il progetto Disruption
La ricerca è stata svolta nell’ambito del ‘Progetto Disruption’, un’iniziativa che ha coinvolto 1400 persone, organizzate in più di 70 attività svolte sul territorio. L’iniziativa è stata finanziata da Regione Veneto con la società Metàlogos come capofila e con il coinvolgimento di un team di esperti dell’Università di Padova. La supervisione scientifica è stata affidata a Patrizia Garengo, docente e figura di spicco nel campo, affiancata dalle borsiste di ricerca Frida Betto per le prime due fasi dell’indagine (svolte tra gennaio e giugno 2024) e dalla ricercatrice Silvia Oliva per la terza fase e l’analisi conclusiva (da agosto 2024 a febbraio 2025).
Il progetto nella sua interezza ha prodotto il “Protocollo P.A.R.I. – Strategie e Innovazione per un Welfare di Parità output di ‘Disruption’.
Il documento si caratterizza di alcuni elementi di pregio. Da un lato avere raccolto, recepito e sistematizzato le principali ricerche, protocolli ed indagini dal 2022 in poi circa i fabbisogni principali del territorio bellunese riletti in chiave di parità, isolando le aree tematiche e facendole seguire ad azioni – le cosiddette linee strategiche finanziate e finanziabili.
Questo lavoro ha di fatto prodotto un possibile modello di welfare territoriale Integrato, disegnando un approccio innovativo e sistemico che unisce welfare istituzionale, aziendale e del terzo settore per garantire servizi diffusi e accessibili, oltre alla promozione della co-programmazione pubblico-privato, con un tavolo permanente di governance in capo alla Consigliera di Parità provinciale che include istituzioni pubbliche e private dotandole di strumenti operativi utilizzabili dai firmatari.
Un documento che vuole fornire un contributo capace di rispondere alle sfide attuali del territorio, pur restando replicabile sul territorio veneto e scalabile includendo nuove misure, nuovi attori e nuove fonti di finanziamento.
Obiettivo: mettere la persona al centro
L’obiettivo primario della ricerca è stato l’identificazione di un approccio organizzativo e inter-organizzativo innovativo che ponga al centro la persona, favorendone il benessere e lo sviluppo. Nello specifico, il team si è proposto di analizzare in che modo le aziende sviluppino pratiche di conciliazione vita-lavoro all’interno di tutte le loro attività di gestione delle risorse umane. Una parte fondamentale del lavoro ha riguardato la raccolta e l’analisi dei dati sulle pratiche di conciliazione presenti nei contesti organizzativi, ma anche la mappatura dei bisogni percepiti dagli enti e dalle organizzazioni del territorio. L’ambizione era quella di definire un modello di gestione delle risorse umane che fosse realmente “human-centered” e capace di promuovere il benessere e la conciliazione nelle imprese della provincia di Belluno, spingendosi oltre la singola realtà aziendale per immaginare possibili collaborazioni a livello territoriale. In definitiva, l’intento era fornire strumenti e conoscenze per sostenere le imprese, i lavoratori e l’intero territorio.
Soggetti coinvolti e il contesto bellunese
Il territorio provinciale è diventato così un caso studio proprio in virtù delle sue caratteristiche. È un territorio montano che, seppur ricco di specifici distretti industriali come quello dell’occhialeria, si confronta con le sfide dello spopolamento e della carenza di forza lavoro. Questa specificità ha reso l’analisi particolarmente interessante, permettendo di comprendere come i bisogni di conciliazione si manifestino in un contesto così unico, con le sue difficoltà logistiche e la scarsità di servizi per le famiglie.
I soggetti coinvolti nell’indagine sono stati molteplici e rappresentativi dell’intero ecosistema locale. Nella fase iniziale, il team di ricerca ha intervistato 17 tra enti, associazioni di categoria e realtà aziendali direttamente coinvolte nel territorio bellunese. Successivamente, la ricerca si è concentrata su un campione di 14 imprese locali, selezionate con cura in base alla loro ubicazione nella provincia di Belluno e alla loro significatività in termini di gestione dei dipendenti. L’inclusione di realtà molto eterogenee per settore – manifatturiero, distribuzione, costruzioni, servizi, alimentare – e per dimensione ha permesso di raccogliere un quadro diversificato di pratiche. Le interviste hanno riguardato figure chiave come i responsabili delle risorse umane, responsabili di produzione, marketing, ricerca e sviluppo e, dove possibile, i rappresentanti sindacali, garantendo così una prospettiva a 360 gradi. Inoltre, per consolidare i dati sui fabbisogni territoriali e l’interesse verso soluzioni di rete, è stata condotta un’indagine su una selezione di 37 piccole imprese locali.
Il metodo di ricerca dell’Università di Padova
Il percorso metodologico intrapreso dalle ricercatrici del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova, si è articolato in diverse fasi, seguendo un approccio rigoroso per garantire la validità e la replicabilità dei risultati. Complessivamente sono state coinvolte più di 1.400 persone, organizzate in 78 diversi interventi.
La prima fase ha visto una revisione sistematica della letteratura scientifica internazionale. Utilizzando il database Scopus e parole chiave mirate come “work-family” e “work-life”, sono stati analizzati 47 articoli recenti (pubblicati tra il 2019 e il 2024), tutti in lingua inglese e provenienti da riviste scientifiche internazionali di alta qualità nel campo del Business e Management. Questa analisi ha permesso di delineare lo “stato dell’arte” sulla conciliazione vita-lavoro, evidenziando temi cruciali come la flessibilità, i programmi di welfare, la genitorialità, il clima organizzativo e la cultura dell’inclusione.
Successivamente, la seconda fase si è concentrata sull’analisi dei bisogni specifici del territorio bellunese, adottando un approccio “bottom-up”. Attraverso 17 interviste semi-strutturate condotte telematicamente con i partner di progetto e le associazioni di categoria, sono state raccolte informazioni dettagliate sulle attività già in corso e sui fabbisogni percepiti dai lavoratori e dalle famiglie in relazione al benessere e alla conciliazione vita-lavoro. È emersa chiaramente la necessità di supporti alla genitorialità, alla mobilità, alla cura degli anziani e alle pari opportunità.
Infine, la terza fase ha costituito il cuore dell’indagine, basandosi su un’analisi approfondita di casi studio multipli. Per definire come le aziende integrano la conciliazione vita-lavoro nelle loro pratiche di gestione delle risorse umane, è stato adottato un protocollo di ricerca strutturato. Questo protocollo ha previsto la conduzione di interviste semi-strutturate dettagliate con i referenti HR e i responsabili di funzione delle 14 aziende selezionate. Le domande, elaborate a partire da un solido framework di riferimento scientifico sulla gestione delle risorse umane, hanno indagato aspetti cruciali come il reclutamento e la selezione, il talent management, la formazione e lo sviluppo, la gestione delle performance, la compensazione e i benefit, la gestione della diversità e dell’inclusione, le relazioni tra i dipendenti e, naturalmente, il benessere dei lavoratori. Le interviste, della durata variabile tra 40 minuti e un’ora, sono state preferibilmente condotte in presenza da due ricercatori, garantendo un’osservazione diretta del contesto aziendale. I dati raccolti sono stati poi trascritti e codificati per permettere un’analisi dettagliata di ogni singolo caso e, successivamente, un’analisi incrociata tra i casi, volta a individuare pratiche comuni e differenze significative. A completamento di questa fase, il questionario sulle piccole imprese ha fornito un’ulteriore conferma delle criticità territoriali e della forte propensione verso la creazione di reti di welfare condivise.
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