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La Cina è diventato un elettro-stato e può influenzare politiche ed economie in Asia, Africa ed Europa

Il Sole 24 Ore con Giuliano Noci traccia il quadro dell’impegno cinese sul fronte delle energie rinnovabili. Il Paese asiatico esporta a ritmo forsennato pannelli fotovoltaici, turbine e semiconduttori e oggi è in grado di controllare le filiere non solo dell’automotive, ma anche della produzione energetica, eolico e solare in particolare, puntando a sostituire ciò che ieri controllava il petrolio e i paesi produttori.

La Cina, scrive Noci

con i suoi 236 gigawatt di pannelli solari esportati nel 2024, con investimenti in clean tech pari a un terzo del totale globale, è diventata il primo vero elettro-Stato della storia. Xi Jinping non parla di transizione energetica, la pratica. Ha compreso che l’elettricità non è più solo energia: è potere geopolitico in forma liquida. Controllare le filiere del solare, dell’eolico e delle batterie significa oggi ciò che controllare il petrolio significava ieri. Ma con una differenza: chi domina l’elettrone non solo alimenta il mondo, lo connette, lo plasma. Nel frattempo, gli Stati Uniti riscoprono il fascino del barile. Il Paese che ha inventato la Silicon Valley, il venture capital e l’innovazione come religione si è trasformato in un petro-stato vintage: trivelle, carbone e slogan. Trump ha riesumato la geopolitica del greggio e la retorica del “patriottismo energetico”, cancellando sussidi alle rinnovabili e persino bloccando grandi progetti solari. È la vendetta della nostalgia sull’innovazione, del crepuscolo sul futuro. In questo duello tra il Prometeo elettrico cinese e l’Atlante fossile americano, l’Europa osserva, sospesa tra orgoglio e incertezza. Va riconosciuto che finora ha performato bene: oltre metà dell’elettricità prodotta nel continente è rinnovabile. Ma il rischio è che la corsa finisca qui. L’Europa, dopo una partenza brillante, fatica a tradurre la leadership normativa in potenza industriale. Mentre Pechino accumula capacità produttiva e costruisce consenso globale con turbine e crediti, Bruxelles continua a normare, regolare, correggere. La Cina, invece, corre. E non per l’ambiente, ma per la potenza. Sta riducendo la dipendenza dalle importazioni fossili, creando una rete di alleanze energetiche nei Paesi emergenti e convertendo la transizione verde in una nuova via della seta elettrica. Il suo piano è tanto semplice quanto ambizioso: diventare indispensabile. E in fondo ci sta riuscendo: ogni volta che accendiamo un’auto elettrica o un pannello fotovoltaico, stiamo alimentando anche l’influenza geopolitica di Pechino.