L’occasione da non sprecare. A pochi mesi da Milano-Cortina 2026, il nostro territorio ha davanti una grande opportunità e una corrispondente responsabilità
… It’s now or never
I ain’t gonna live forever …
Le Dolomiti si stanno trasformando in un laboratorio di innovazione, talento e nuovi servizi. È un processo ancora molto lento, frammentato, discontinuo. Un evento globale come le Olimpiadi potrebbe accelerarlo, dargli ampiezza, profondità e prospettiva. È già accaduto, come la storia ci insegna: Barcellona ’92, Londra 2012, PyeongChang 2018 hanno usato i Giochi come acceleratore di crescita, qualità della vita e nuove visioni. Un acceleratore di futuro, verrebbe da dire, per territori che hanno colto l’opportunità dei Giochi trasformandoli in un’occasione di rinascita.
Barcellona nel 1992 si è rifatta il volto e l’anima: ha aperto la città al mare, rigenerato quartieri abbandonati, creato un distretto dell’innovazione che oggi è un riferimento globale. Venti anni più tardi, nel 2012, Londra ha risollevato l’East End, una zona ferita da decenni di marginalità. Dove c’erano capannoni e terreni contaminati, oggi c’è un ecosistema culturale e creativo che attira imprese e talenti.
Ma la lezione più utile per noi arriva da lontano. E da molto in alto.
PyeongChang 2018: quando la montagna rifiuta di essere periferia
Prima dell’Olimpiade, PyeongChang era una regione montana isolata della Corea del Sud. Spopolata, priva di infrastrutture moderne, lontana da tutto. Una periferia vera, come la intendiamo qui quando parliamo delle valli più interne. Eppure, secondo gli studi del Korean Development Institute e della Seoul National University, quella montagna ha usato i Giochi per rompere il suo destino. Non con slogan, ma con scelte.
La Corea ha costruito una linea ferroviaria ad alta velocità che collega Seoul alle montagne in 90 minuti. Ha ripensato il brand nazionale con un messaggio semplice e potente: la Corea non è solo città, è anche montagne capaci di futuro. Ha investito nella formazione digitale dei giovani delle aree rurali. Ha trasformato le strutture olimpiche in spazi permanenti per sport, eventi, cultura.
Oggi PyeongChang è un territorio connesso, attrattivo, vivo. Uno di quei posti che pochi anni fa nessuno avrebbe saputo collocare sulla mappa e che ora è un tassello del soft power coreano. Una montagna che ha scelto di svegliarsi.
E noi, nelle Dolomiti?
Il confronto è inevitabile, e un po’ amaro. O, meglio, in chiaroscuro. Abbiamo un’Olimpiade che porta il nome delle Dolomiti, ma non abbiamo ancora un progetto condiviso su cosa questo significhi per il territorio. Non abbiamo piani per attrarre nuovi residenti o imprese. Non abbiamo definito una strategia per rafforzare i servizi.
D’altro canto, ci sono anche le note positive. Con la regia dell’IPA Prealpi e Dolomiti Bellunesi, non senza fatiche, stiamo costruendo un Ecosistema fatto di imprese, scuole, università, enti pubblici. Un luogo simbolico che ci allena alla collaborazione, alla condivisione di esperienze e di saperi. Insieme, negli ultimi due anni, abbiamo focalizzato quali siano i problemi – spopolamento, mancanza di ricambio generazionale, scarsa attrattività – e abbiamo deciso di affrontarli di concerto individuando la strada dell’aggiornamento da territorio manifatturiero e turistico classico a, per l’appunto, ecosistema innovativo. Tuttavia non è sufficiente, abbiamo bisogno di uno scatto di reni, di un’accelerazione di passare velocemente a una fase operativa e concreta. E le Olimpiadi ne sono l’occasione più prossima. Anche la più facile se vogliamo, perché l’attenzione di tale frangente è semplicemente irripetibile. Sta a noi coglierne il senso e farne un volano di modernizzazione del tessuto economico, sociale e istituzionale. Ma il tempo per agire è oggi, non domani.
I dati del resto non ci permettono di rimanere immobili: la provincia di Belluno continua a perdere popolazione, competenze, capitale umano. Se non cambia la traiettoria, cambierà il territorio. E non in meglio.
E ci sono scelte che non possiamo più rimandare a partire dalla condivisione che i Giochi sono un fattore abilitante delle nostre ambizioni. Una comunità che perde mille abitanti all’anno, che fatica a garantire medici, infermieri, insegnanti e nuovi imprenditori, deve sentire l’urgenza di un cambio di paradigma. Le sue classi dirigenti hanno il dovere di guidare questa trasformazione. Con la possibilità di affermare, finalmente, che le Dolomiti non sono un margine, ma un centro. Un luogo dove si può vivere, lavorare, innovare.
Barcellona, Londra e PyeongChang hanno usato i Giochi come un trampolino, noi non possiamo rischiare di trasformare l’Olimpiade in un’occasione sprecata. Perché questa finestra non tornerà più.
Milano-Cortina 2026 non ci chiede di essere spettatori. Ci chiede il coraggio di scegliere se rimanere periferia o diventare futuro. E il futuro, come sempre, non aspetta.