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Il recente rapporto della Banca d’Italia sull’economia del Veneto conferma ciò che molti imprenditori percepiscono da tempo: la tenuta complessiva del sistema non basta più. A fronte di un export ancora dinamico e di una buona tenuta occupazionale, emergono segnali chiari di rallentamento industriale, fragilità demografica e ritardi nella capacità di innovare.

Non è allarme, ma è un richiamo forte alla realtà. La manifattura veneta, spina dorsale del modello regionale, soffre oggi di margini compressi, difficoltà di reperimento del personale e crescente esposizione alle incertezze internazionali. Troppo spesso le nostre imprese sono lasciate sole di fronte alle sfide della transizione digitale ed ecologica.

Il nodo vero, però, è strategico. Serve una visione nuova che superi la logica dell’adattamento e guardi con coraggio al riposizionamento del modello produttivo, puntando su capitale umano, qualità imprenditoriale e attrattività territoriale.

Questo vale ancora di più per i territori periferici e montani, come quello bellunese, che rischiano di essere penalizzati due volte: dallo spopolamento e dalla distanza dai centri decisionali. Eppure, è proprio da qui che può partire una sperimentazione utile a tutta la regione: nuove filiere legate alla sostenibilità, alle tecnologie outdoor, all’innovazione di servizio e alla valorizzazione delle competenze locali.

In vista delle Olimpiadi 2026, il rapporto con il territorio non può limitarsi alla logica dell’evento. Va usato come leva per mettere a sistema visione, investimenti e governance. L’economia veneta non ha bisogno solo di resistere: ha bisogno di evolvere.

Giulio Buciuni è professore associato di impresa e innovazione al Trinity College di Dublino