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«Senza innovazione tecnologica non c’è potere geopolitico»

«Nessun continente, nessuno Stato che voglia avere potere geopolitico e voglia preservare la propria esistenza dal punto di vista economico e sociale può rimanere indietro con l’innovazione dalle tecnologie dirompenti», ha detto martedì 26 agosto Mario Draghi dal palco del Lindau Nobel Meeting, davanti a premi Nobel ed economisti di fama internazionale. Durante una tavola rotonda dedicata alla ricerca e all’innovazione, l’ex presidente del Consiglio italiano ha rinnovato il suo monito: «l’Europa non può permettersi di restare indietro nella corsa alle tecnologie dirompenti, pena l’irrilevanza nello scacchiere globale».

«Senza innovazione tecnologica non c’è potere geopolitico» ha ricordato in sostanza Draghi. È una frase che sembra lontana dalle nostre valli, ma non lo è affatto. Perché innovazione significa produttività, e senza un salto di produttività – avverte Draghi – tra dieci anni l’Europa non riuscirà più a sostenere il suo modello sociale.

Qui si apre il tema dei territori. Le ricerche OCSE e la letteratura sulla place-based policy ci dicono che la sfida non è quanto spendere, ma come. Serve condividere una linea comune in almeno tre direzioni: meno frammentazione e più regia condivisa; ecosistemi di innovazione che uniscono imprese, università e comunità; missioni chiare, non sussidi a pioggia.

Gli studi sulla smart specialization mostrano che quando un territorio punta su poche traiettorie e le misura seriamente, l’effetto è moltiplicatore: innovare non è un lusso, è il modo più concreto per dare futuro alle comunità.

Per questo le parole di Draghi non sono solo un monito europeo. Sono un’agenda per i territori che non vogliono restare ai margini. Anche per le montagne, che possono diventare laboratori di nuove periferie competitive: non cartoline da ammirare, ma luoghi dove si produce conoscenza, impresa e coesione sociale.

La vera scelta è tra innovazione che costruisce futuro e frammentazione che consuma risorse.